Nel momento in cui ho deciso di accingermi a scrivere questo articolo sul multitasking, la mia mente è stata attraversata dal ricordo molto vivido di un video animato che vidi anni fa.
In esso veniva rappresentato un topolino che insegue forsennatamente, uno dietro l’altro, svariati oggetti desiderabili: una bottiglia di vino, un televisore d’ultima generazione, un’automobile di lusso… ed, infine, una banconota fluttuante, che fatalmente finisce per poggiarsi su una trappola per topi, incatenando il disgraziato topolino.
Il video si conclude con la telecamera che si allarga verso l’alto, mostrando innumerevoli altri topolini condannati al medesimo destino. Il video, dal provocatorio titolo “Happiness”, costituisce una metafora brillante di questa realtà socio-economica in cui siamo immersi, spesso chiamata nei paesi anglofoni, per l’appunto, “Rat Race”.
Una realtà in cui il consumismo spasmodico e l’accumulo affannoso di beni ed attività costituiscono i pilastri dello stile di vita, se non veri e propri “valori” culturali. Una realtà che sembra volerci suggerire, che more is more.
D’altronde, abbiamo due braccia, due occhi, e mille altri dentro la scatola cranica; perché non dividere la nostra attenzione tra molteplici attività simultaneamente? É un dubbio ragionevole, umano e condivisibile. Non è certo desiderio di chi vi scrive imbastire una invettiva contro il multitasking, pur non potendomi esimere dall’evidenziarne i limiti.
Prima di tutto, è forse giunto il momento, a questo punto dell’articolo, di smontare un mito: il multitasking non esiste. Mi spiego meglio. Nel 2010, Etienne Koechlin e Sylvain Charron hanno condotto uno studio presso l’Istituto Nazionale della Salute e della Ricerca Medica di Parigi (INSERM), nel corso del quale ai partecipanti è stata registrata l’attività cerebrale durante lo svolgimento di un singolo compito, in un primo momento, e di due compiti simultanei, in un secondo momento.
Ciò che è emerso è che laddove nello svolgimento del singolo compito gli emisferi cerebrali lavorano in concerto, nel momento in cui si introduce un secondo compito essi iniziano ad operare separatamente sui due compiti.
Questo significa che il nostro cervello non è programmato per poter svolgere efficientemente due compiti simultaneamente e che quando questo accade risorse cerebrali (e, quindi, mentali) vengono sacrificate per ognuno di essi.
Coerentemente, è stato provato, in un altro studio, che il multitasking riduce l’efficienza lavorativa del 30-40%. Ciò che accade, quando si fa “multitasking”, è qualcosa che dovrebbe più propriamente chiamarsi multifocusing, ovvero uno spostamento rapido dell’attenzione da un compito all’altro. Degni di nota anche i risultati di uno studio recentemente condotto presso l’università di Stanford, il quale ha dimostrato come il multitasking possa peggiorare la capacità mnemonica.
“Bene.”, starai forse pensando, caro lettore, “Tutto questo è molto interessante. Ma, quindi, cosa posso fare io, concretamente, per gestire mail/messaggi/telefonate/capo ufficio/colleghi/moglie/marito/figli/suoceri/cani/gatti nel corso delle mie giornate?”.
Ottima domanda. La mia risposta per te si può riassumere in una parola: mindfulness. Forse ti sembrerà una risposta scontata, o poco pratica, ma lasciami spiegare. Mindfulness significa, essenzialmente, allenarsi ad essere presenti. Allenarsi a risiedere in quello spazio breve ed immenso tra lo squillo del cellulare, o il pensiero della pratica da svolgere, e il nostro comportamento.
Uno spazio per fermarsi, fare un profondo respiro, magari farsi una coccola, o reinterpretare con ironia e un sorriso sulle labbra la situazione… E, soprattutto, uno spazio per domandarsi “quali sono le mie priorità? cosa è più importante fare, in questo momento?”… Domande che possono aiutarci a guardare la situazione con la giusta distanza, interrompere per qualche istante questa forsennata Rat Race e tornare padroni della nostra attenzione e, con essa, della nostra vita.
Mindfulness significa assumersi la responsabilità e l’impegno di vivere la propria vita in una modalità differente. La mindfulness, infatti, è un come ancora prima di un cosa.
É la scelta, rinnovata ogni giorno nella pratica, di utilizzare le proprie risorse mentali per generare benessere interiore e per realizzare in modo più efficace i propri scopi più autentici, al di là d’ogni automatismo appreso o d’ogni pressione interna od esterna.
Per poter forse infine comprendere queste parole dello psicologo James Hillman, che probabilmente il nostro disgraziato topolino non ebbe mai modo di udire: non se ne ha mai abbastanza di ciò di cui non si ha davvero bisogno.
Ti interessa approfondire la pratica di Mindfulness? Se sei interessat* per la tua azienda contattaci per scoprire le iniziative dedicate, altrimenti clicca qui per le proposte ai privati!
A presto!