L’arte di prendersi Cura

La ricerca scientifica dell’ultimo decennio, nell’ambito delle neuroscienze, si è molto interessata allo studio degli effetti della pratica meditativa sia per quel che riguarda le capacità di attenzione e consapevolezza sia per gli stati mentali benefici, in particolare la compassione.

Sulla base di queste ricerche sono stati sviluppati diversi modelli che hanno la Mindfulness come riferimento.

Il tema centrale è la scoperta della Mindfulness, o consapevolezza, intesa come quella qualità mentale che può essere sviluppata nell’essere umano, insieme ad altri fattori, come per esempio la serenità e la compassione, la tranquillità e la saggezza intuitiva che può essere esercitata con sé stessi e con altri esseri.

Portare nella relazione d’aiuto le qualità della Mindfulness, della compassione, dell’amore e degli altri stati mentali positivi permette di affinare una metodologia di intervento centrata sulla presenza, sull’empatia, sulla concentrazione e sul rilassamento, cioè sulla possibilità di un ascolto profondo e autentico sostenuto dalla dimensione meditativa e dalla consapevolezza.

Chi è che cura, cioè il guaritore? Jung parlò dell’archetipo del guaritore ferito, di colui che tiene in sè due poli opposti: il guaritore e il ferito, per sottolineare l’ambiguità data dalla contemporanea presenza della forza e della vulnerabilità insite nella natura umana.

Questo archetipo è ispirato al racconto del centauro Chirone, personaggio della mitologia greca. Diamogli uno sguardo da vicino: la storia narra che Chirone, più saggio e benevolo di tutti i centauri fu grande esperto dell’arte medica e insegnante di Asclepio, padre della medicina, venne attaccato duramente durante uno scontro e subì una ferita incurabile nonostante le proprie conoscenze in campo medico. L’intera esistenza del centauro sembrava condannata a subire infinite sofferenze a causa della sua immortalità, fin quando Zeus, per compassione, lo salvò permettendogli di donare la propria immortalità a Prometeo.

Prima della sua morte, però, Chirone avviò un profondo percorso di conoscenza della propria sofferenza che lo portò, attraverso la sofferenza ad imparare l’arte della cura e a tenere sempre presente la propria ferita, che è simbolicamente lo spazio attraverso cui il dolore e la sofferenza possono entrare in noi.

E proprio come Chirone, chi cura può comprendere la sofferenza dell’altro solo riconoscendo e integrando la propria sofferenza, non come debolezza o fragilità, ma come forza e strumento per entrare in contatto con l’altro da sè.

Nella nostra società spesso sembra che chi cura (psicologo, medico, terapeuta, infermiere, care giver) sia una entità astratta quasi una “non persona” che conosce tecniche e strumenti appresi teoricamente per poter guarire l’altro, colui che possiede la verità, immune dalla sofferenza, quasi infallibile. Invece siamo uno il riflesso dell’altro, in ogni medico, psicologo, care giver che si prende cura esiste un ferito; in ogni malato, essere umano che soffre, dimora un guaritore interiore che sa di cosa ha profondamente bisogno.

Troppo spesso, soprattutto per mancanza di tempo, gli operatori della cura perdono di vista la loro missione più profonda: affrontare la sofferenza e il senso di disintegrazione che comporta. Spesso abbiamo paura ma la nascondiamo dietro un vasto bagaglio di titoli e conoscenze volti a curare.

Paura di cosa? Dell’ignoto, di essere impotenti, a disagio e infine delle nostre ferite e fratture.

In realtà un buon curante è una persona ferita, che è entrato in contatto con la propria sofferenza e che ci ha “fatto i conti”, che l’ha affrontata, l’ha integrata, e da questa ferita ha trovato la via per prendere contatto con le ferite altrui.

Penso che al cuore di ogni ”artista del guarire” vi sia il desiderio di servire e di essere risanati, cioè di voler guarire gli altri che in realtà sono semplicemente parte di noi.

Con il rifiuto di riconoscere la propria fragilità, corriamo il rischio di essere distanti e spesso cinici.

Un buon terapeuta dovrebbe imparare a non allontanarsi mai dall’idea di sé stesso come paziente. Una condizione basilare per far emergere il potere che ogni suo paziente possiede quando, anche in fasi di grande dolore, riesce a trovare un guaritore per prima cosa cercando dentro sé stesso.

Non voltare la testa, continua a guardare la tua ferita.
Poiché è da lì che la luce entra in te

Rumi

Proviamo, sin da oggi, a stare alla presenza di una persona che chiede il nostro aiuto utilizzando la consapevolezza Mindfulness, sentendo per prima cosa semplicemente la nostra umanità condivisa.

Basta respirare ascoltando la qualità del nostro respiro in quel momento, guardare con attenzione e ascoltare in maniera profonda, senza interruzioni ciò che l’altro ci porta perchè scatti questo riconoscimento.

Offrire a noi stessi questa qualità di attenzione è di per sé parte integrante della cura e liberatorio, una possibilità di svelarsi rimanendo in contatto con noi stessi indipendentemente dal ruolo che ricopriamo.

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A presto!

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