Dal dover fare e essere al sentirsi di poter fare e poter essere
Sentirsi responsabili è un obbligo condizionato che spesso sentiamo imposto sin dai primi anni di vita.
Pare che l’educazione alla responsabilità aiuti a crescere in salute e con coscienziosità e determinazione; a lasciare perdere ciò che è inutile e può distrarre lungo la propria strada.
È una possibilità, non si può negare.
Crescendo sentiamo risuonare in noi la responsabilità al dovere, nelle relazioni, con i nostri familiari, anche nel mondo del lavoro. Esiste però un fraintendimento di fondo.
Responsabilità è una parola che nel tempo è diventata sinonimo di fatica, impegno, dovere, quasi un peso che dobbiamo portare sulle spalle.
La responsabilità viene prima di tutto il resto, portare a termine i propri doveri sembra l’unica strada per essere felici. “Ho fatto il mio” si dice spesso, “ho fatto quel che dovevo” potremmo tradurre.
Responsabilità non significa però “dovere” ma “capacità di rispondere” anche attraverso comportamenti, verbali e non, che siano responsivi, diretti all’altro, individuo o gruppo, a fronte di una richiesta ricevuta o per iniziativa personale.
Questo significato aggiornare il nostro modo di intendere l’essere responsabili.
Lo rende non solo il “dovere essere” ma il “sentirsi”, offrendoci la possibilità di risposte creative, personali e non solo di comportamenti automatici, dettati dalle regole del sistema in cui lavoriamo.
Ben inteso, ciò non significa che non ci siano regole che devono essere rispettate per garantire il benessere comune.
Immaginiamo di osservare il dipinto di un paesaggio, racchiuso in una preziosa cornice intagliata, spessa, solida. Possiamo vederlo in due dimensioni e coglierne tutti i particolari. Possiamo annotare i personaggi presenti, le colline gli alberi…
Ma se provassimo a Guardarlo in tre dimensioni? Se ci lasciassimo conquistare dalla prospettiva e potessimo andare oltre, sentire l’erba sotto i piedi, provare ascoltare i rumori e annusare i profumi? Non usciremmo dalla cornice, semplicemente riusciremmo a sentirci incorniciati diversamente.
Il “dovere” ci permette di vedere il mondo del lavoro in due dimensioni, il “sentirsi di potere” è invece in 3D, proprio come la consapevolezza.