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Aggressività passiva, quando l’attacco è subdolo

Una battuta cattiva, fare la vittima, lamentarsi continuamente, far sentire l’altro in colpa, procrastinare senza motivo, darsi malato in un giorno importante, attribuire alla fortuna il merito di un altro, fare un apprezzamento fisico in un contesto professionale, …

Sono tutti esempi di aggressività passiva, nascosta, camuffata, che ci feriscono come tanti pugni in faccia e ci fanno arrabbiare moltissimo, ma all’apparenza non sembrano aggressioni, anzi per l’aggressore “era solo una battuta, un complimento, se non posso neanche sfogarmi con te, …”

Si tratta di un comportamento disfunzionale, in cui in modo più o meno consapevole, manipolatorio e apparentemente innocuo, una persona attacca un’altra.

Accade di continuo nelle nostre relazioni, a casa e al lavoro. L’attacco avviene con voce dolce e pacata ma con parole taglienti.

Noi reagiamo in 2 modi di solito.

  • Istintivamente, passando spesso dalla parte del torto, con toni accesi e offensivi in risposta all’attacco silente. L’aggressore a quel punto si mostra offeso, ancora una volta vittima, e questo ci manda in corto circuito facendoci arrabbiare sempre di più. A volte riesce anche nell’intento di farci sentire in colpa perché alla fine “siamo noi che stiamo urlando e lui ha solo fatto una battuta, una lamentela, una piccola richiesta a bassa voce!”
  • Sentendo l’attacco e mandando giù il boccone, non sentendoci in diritto di rispondere. Pensiamo: “in fondo era solo una battuta, un non detto, un’allusione vaga, magari mi sbaglio, meglio lasciar perdere”. E finiamo per somatizzare la nostra rabbia che giustamente ci era venuta in soccorso, dotandoci di una energia extra per proteggerci dall’attacco. E così la rabbia va nello stomaco, nell’intestino, sulla pelle, ci alza la pressione, genera uno sbalzo glicemico, … Anche questo scenario non è molto sano e salutare per noi.

Cosa fare dunque quando ci accorgiamo di un atteggiamento passivo-aggressivo?

  1. Innanzitutto, sveliamolo, togliamolo dalla finzione, dichiariamo quello che sta accadendo: “mi stai attaccando, mi sento attaccato, mi stai dicendo che …”
  2. In secondo luogo, fissiamo un limite, una barriera protettiva, dichiariamo: “non è accettabile questa frase, questo comportamento, questo atteggiamento, non è rispettoso”
  3. Infine, rispondiamo all’attacco come se fosse stato esplicito: “mi stai accusando di … questa è la mia risposta”

La nostra rabbia, in questo modo, si incanala, trova espressione e diventa la benzina per affrontare l’ostacolo che ci troviamo di fronte con un atteggiamento di problem solving molto più costruttivo.

La mindfulness è un ottimo allenamento alla consapevolezza per riconoscere e smascherare queste dinamiche e favorire un agire più sano e responsabile, a livello individuale e collettivo.

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