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Galleggiare ogni giorno

Siamo abituati ad avere dei ruoli: siamo figli, genitori, amanti, amici e impegnati nelle nostre attività professionali.

Ci confrontiamo spesso non solo con le nostre aspettative ma anche con obblighi che non ci appartengono ma sono posti dall’esterno; ci sentiamo costretti a accettarli e portarli a termine. Ruoli e obblighi, autoimposti o sentiti come pesi messi sulle spalle, possono portarci a uno stato di rassegnazione e mancanza di vitalità.

Per controparte più riusciamo a raggiungere questi risultati più ci sentiamo individui di successo, riconosciuti e stimati. La nostra autostima spesso dipende da quanto gli altri ci riconoscono e dalla loro capacità di farci sentire gratificati.

Non è facile convivere con la sensazione che le nostre qualità dipendano solo da ciò che sappiamo fare e da quanto le persone a noi vicine sottolineano il nostro valore. Corriamo il rischio di sentirci talvolta prigionieri di chi siamo diventati e incapaci di riconoscere stimoli e vitalità necessari per provare a guardarci da un altro punto di vista, più gentile e comprensivo.

Il senso di prigionia aumenta la percezione di insofferenza e l’incapacità nel prendere del tempo, rallentare e ci guida in azioni impulsive, frutto di decisioni istintive e rapidissime.

Il vortice del fare, sempre e sempre di più, ci ingoia e l’unica possibilità che abbiamo è provare a nuotare tenendo la testa fuori dall’acqua. Ne siamo capaci, certo, ma proviamo a soffermarci sul costo emotivo e energetico che tutto questo ci richiede.

Cresciamo in una società che fatica a riconoscere la fragilità, o meglio, che decide se e quale fatica possiamo concederci. A volte nemmeno la fragilità fisica o mentale sono considerate sufficienti per chiedere spazio per sé.

Ci siamo convinti che la debolezza non esiste perché il mondo in cui viviamo, alla costante ricerca della performance, ci ha spinto oltre, a non considerare “come stiamo” ma soprattutto come desideriamo essere.

In questo modo di vedere il mondo possiamo notare la tendenza a spostare la responsabilità verso l’esterno; gli altri mi vogliono così, devo essere come sono perché non ho alternativa, non c’è niente che possa fare, potrò stare meglio solamente se cambieranno loro.

Attribuire la responsabilità all’esterno è un processo naturale e comprensibile che mettiamo in atto in particolare quando non riusciamo bene a capire cosa stia succedendo davvero.

D’altronde molti di noi sentono risuonare nella mente l’imperativo di “Doversi assumere le proprie responsabilità”, “Che volendo ogni obbiettivo è raggiungibile”, a patto però di dover fare i conti con la durezza della delusione, provata tutte le volte che ci siamo sentiti falliti.

Il senso di fallimento spesso viene trattato come una questione solamente personale “Devi fare la tua parte”, “Fattene una ragione, è così”, “Non darti troppa importanza” sono solamente alcune delle frasi che ci ritroviamo a pronunciare a noi stessi quando capita di sentirci in difetto, sbagliati.

Come possiamo allora far fronte a questo turbine di credenze che sembra incastrarci? È possibile galleggiare nel vortice e lasciarsi trasportare, invece che affannarsi con fatica e energia alla ricerca di aria da respirare?

La Mindfulness non offre una soluzione miracolosa. Le pratiche di consapevolezza sono strumenti che per prima cosa possono renderci più in grado di vedere chiaramente quale sia il nostro livello di disagio e aiutarci a sostenere le fatiche che incontriamo.

Prendere del tempo, fermarsi e esplorare quello che succede sono i primi passi per provare a invertire la rotta e galleggiare.

Ma cosa troviamo nel vortice? Possiamo trovare pesci bellissimi da ammirare, acque cristalline in cui specchiarci e sabbie bianche su cui camminare; sensazioni di profonda pace, rigeneranti. Esploriamo la gratitudine verso noi stessi e il regalo che ci stiamo facendo dandoci l’opportunità di entrare in contatto con il corpo e i suoi stati, attraverso il respiro.

Nel vortice possiamo anche incontrare punti profondi, paure, qualche minaccia e la sensazione di disorientamento. Se galleggiamo però sarà più naturale provare a avvicinarsi alle paure, vedere che forma hanno, il loro profumo, i contorni e i colori.

Non è detto che svaniranno ma forse per un po’ gireranno con noi e non è neanche detto che faranno meno male, ma se riusciremo a guardarle da vicino il dolore diventerà più comprensibile.

Ma a quale prezzo? Il prezzo da pagare è lo sforzo necessario per creare un’abitudine che possa trasformarsi poi in un’attitudine a “sentire da vicino”, in un processo di graduale e costante conoscenza gentile di noi stessi, con la cura necessaria ma anche la ferma determinazione, indispensabili per la pratica.

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