Quando si coltiva il non giudizio nella propria vita si perdono molti pudori.
Soprattutto in ambito relazionale, iniziamo a lasciar andare tante sovrastrutture, culturali e personali, che rendono i rapporti statici, confinati dentro schemi ripetitivi, privi di creatività.
Togliere il giudizio dalle relazioni è un bel regalo che facciamo prima di tutto a noi stessi, ma anche all’altro, spogliandoci di quegli abiti che offuscano la nostra bellezza più autentica. La bellezza delle imperfezioni, degli errori, delle parti di noi buffe e strane, di quelle che odiamo o detestiamo, di quelle dispettose o vanitose, e di quelle che nascondiamo con convinzione al mondo.
È bellissima la sensazione di essere nudi di fronte all’altro, senza maschere e senza finzioni.
Quello che possiamo notare, in queste situazioni, è che più siamo spontanei e genuini più l’altro si mostra a noi in modo speculare. Ed è davvero intensa l’esperienza di intimità che si crea, ci si tuffa l’uno dentro l’altro non importa se per un attimo, per una notte o per un tratto di vita intero.
All’inizio non ce ne accorgiamo, agiamo secondo copioni già scritti e imparati a memoria, in una memoria ancestrale a volte, di cui pensiamo di essere costituiti e non vestiti. Forse perché non si tratta di un abito scelto da noi, ma di un regalo del nostro passato, della nostra storia e della storia dei nostri antenati, crediamo di esserne impastati, irrimediabilmente.
Ma non è così, …
… la Mindfulness ci mostra, accendendo una luce – calda, chiara e gentile – che gli strati più profondi del nostro proteggerci sono impermanenti, come tutto il resto. Si possono ammorbidire, allentare, sciogliere, in modo sorprendente e drammaticamente bello. Se non ci accontentiamo di quello che ci raccontiamo, o ci raccontano di noi, se ci liberiamo dell’intralcio del giudizio e della paura del giudizio altrui, possiamo diventare spudorati e vivere una vita nuova, coraggiosa, audace.
La spudoratezza dell’autenticità, dell’essere spogli di fronte al mondo.
La spudoratezza del mostrarci nella nostra verità, quella del momento, cangiante e non assoluta, contraddittoria e molteplice, in continuo divenire.
Potersi dire e poter dire ciò che siamo. Senza giudizio e senza vergogna.
Potersi amare e farsi amare per ciò che siamo. Senza cercare di essere altro.
Viverci nella magia del qui e ora, senza aspettative, senza convenzioni, senza doveri, nell’incanto dell’incontro più profondo e più vero.
Uscire dalle dinamiche stantie (uomo-donna, mamma-figlio, capo-collaboratore, maestro-discepolo, …) e percepirsi come persone, che si incontrano, si guardano, si vedono e si toccano.
Persone uniche, vere, irripetibili. Miserabili e fragili, forti della loro vulnerabilità, delle ferite e delle cicatrici, dei sogni e delle illusioni, dei bisogni e delle necessità.
Potersi sfiorare, accarezzare, baciare, là dove fa più male.
Potersi fidare e incontrare senza preclusioni, sapendo che il momento è questo, e non ce n’è uno migliore.
E noi, quello che siamo ora, in questo attimo fuggente e profondo, dentro a questo respiro che ci unisce in modo elementare, possiamo dunque scegliere di viverci senza giudizio e con il coraggio delle spudoratezza?
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